Rochy era un piccolo cane felice. Andando per prati con il suo padrone aveva imparato a conoscere molte cose e, tra queste, le trappole per gli uccelli che i cacciatori nascondevano tra l’erba . Vuoi lo facesse per gioco, vuoi che avesse capito di cosa si trattava, fatto sta che aveva imparato a disinnescarle, un colpo di zampetta e tac! Tutte quelle che trovava, lui le rendeva inoffensive. Un giorno fu strano: non mangiava né beveva e il suo padrone, la moglie, le figlie erano preoccupati; Bettino pensò che forse lo aveva fatto stancare troppo quel giorno, in passeggiata. Quella notte tutti, in famiglia, furono un po’ in ansia per Rochy. La mattina dopo, Bettino lo portò fuori ma, appena usciti, ecco che Rochy cominciò ad abbracciarlo cioè a saltargli al collo più volte, a leccargli le mani; poi si diresse verso il negozio, la pizzeria di Bettino e fece il giro di tutti gli angoli, di tutte le stanze. Infine, corse via e non tornò più. Qualche giorno dopo, Bettino lo trovò, morto, in un prato e lo trovò in un punto che era quello che Rochy prediligeva, dove si fermava più volentieri a saltare tra l’erba. Raccolse il piccolo corpo e lo portò al veterinario a cui chiese di fare l’autopsia per capire di cosa Rochy fosse morto. Il cane era stato avvelenato. Questa storia mi è stata raccontata pochi giorni orsono da Luisa, la moglie di Bettino, durante una conversazione in pizzeria, qualche ora prima che la mia vacanza finisse; si era cominciato col parlare di cacciatori dal momento che il giorno dopo, lì in Valcamonica, si sarebbe aperta la caccia, ancor prima che gli anni scorsi e così parlammo di questo loro cane che era quello che avevano prima di quello attuale, che si chiama Rochy anche lui. La storia di Rochy che andando per prati disinnescava le trappole e che poi, pagando il fio della sua propensione, fu avvelenato da qualcuno, mi è entrata nel cuore . Germana Pisa 2004