Biografici e autobiografici, Letterari

La rincorsa.

Passeggiavo la sera, sul tardi
nei pressi della foce di un fiume
che avevo seguito giorni e giorni
incantata da quel lento fluire,
sicuro,
verso un porto.
Da giorni e giorni
mi lasciavo cullare da lui
come quel ramo spezzato
che correva veloce sull’acqua
e che, a tratti,
veniva spinto dolcemente qua e là
da una corrente più forte.
Quando la corrente si faceva veloce
per una rapida improvvisa
non temevo per lui
perchè sapevo, ormai
che a fondo non sarebbe andato mai..
Lo conoscevo da tempo, quel ramo:
era il più bello
era il più ricco di foglie
di un vecchio albero di fico
e fu solo per un gioco di bimba
che un giorno mi aggrappai a lui
e rimasi sospesa e spaventata
a lungo!
finchè entrambe cademmo a terra
un po’ stupiti d’essere ancora vivi
ma per nulla domati.!
Tanto che riprendemmo il gioco
interrotto…
Giorni e giorni di giochi
prima che diventassi grande.
E accadde all’improvviso, una mattina
quando non vidi più ,affacciandomi al balcone,
il mio albero di fico
ma l’odiosa figura di un ippocastano
che ergeva orgoglioso la sua capigliatura
tutta riverniciata a fresco
dello stesso verde
brillante
della panchina più sotto!
Era un Giardino Pubblico di città.
Era finito il tempo dei giochi, “per sempre”
mi dissero ed io
che non avevo altra scelta,
mi sforzai allora di amare
i rami dell’ippocastano..
Cercai di reagire
dicendomi che il loro verde era brillante
quasi come quello
del mio vecchio albero di fico!
Invano mentivo a me stessa
e con quale pervicacia
dicevo di apprezzare ogni colore
per rendermi accettabile la vita
quando
in realtà
vedevo ogni giorno di meno
perchè stavo diventando
cieca
del tutto.
Finchè, un giorno
seppi che il fiume, laggiù,
era uscito dagli argini
e seppi che,
da giorni,
trascinava con sè ogni cosa
ogni vestigia del passato..
ed anche – mi dissero –
ogni dolore antico, ogni tristezza, ogni ricordo!
Leggevo sui giornali
che dagli argini, a me noti,
si vedeva lo spettacolo atroce
di case sommerse, di giocattoli
che volavano sulla corrente impetuosa
di quello che, un giorno, era un fiume!
Fu così che tornai
nella speranza
che non andò delusa
di ritrovare il mio ramo
e me stessa..
Non fu lunga l’attesa
perchè, dall’argine,
lo vidi passare veloce sull’acqua
e lo seguii con lo sguardo
Io non sapevo, non immaginavo
che alla fine del viaggio, prima del mare,
ci fosse questa distesa di acqua cheta
dove il mio ramo rischia di arenarsi
per sempre!!
Io lo vedo ondeggiare piano piano
e non fa un passo avanti verso il mare..
Son giorni e giorni, ormai
che non mi muovo dalla sponda
e non mi stanco di fissare, abbagliata
quel movimento monotono e inutile
del corpo senza vita del mio ramo.
Lui, così vivo, così scattante
quando la corrente lo faceva giocare
ora non sa più muoversi
e si lascia trascinare
stancamente
verso la più vicina secca…
Non vorrei che finisse impigliato
tra le erbe alte di quella riva là in fondo..!
sono erbe ostili
viscide
come la palude dove sono nate e cresciute..
Mi addormento e sogno di tuffarmi

da un albero di fico
con il mio ramo
stretto tra le mani..
E accade che
agitandomi nel sonno
cado in acqua. Poi non ricordo bene..


Germana Pisa
Milano – Gualtieri di Reggio Emilia – 1 9 8 1
, evocazione della grande alluvione del 1951

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