Intervista di Germana Pisa al prof Fabrizio Eva.
Nell’epoca della globalizzazione, proprio nel periodo in cui il mondo è a portata di mano, avviene che si tenda a marginalizzare la materia di studio – la geografia – che questo mondo descrive e presenta nei suoi vari aspetti. Questo avviene in particolar modo qui in Italia, al giorno d’oggi, qui dove un ministro ha intenzione di ridimensionare fortemente lo studio della materia, relegandola a pochi indirizzi e in pochi spazi. Parliamo di questa prospettiva con il prof. Fabrizio Eva , insegnante, geografo politico. Lo facciamo partendo da una citazione, relativa a quelle che erano le prospettive che parevano aprirsi negli anni 90, quando l’intenzione di chi si occupava della riforma della scuola era di valorizzare quella materia in un contesto preciso:
Buongiorno Fabrizio Eva, commentando il decreto legislativo 17 ottobre 2005 (Definizione delle norme generali e dei livelli essenziali delle prestazioni sul secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione ai sensi della legge 28 marzo 2003, n.53), Gino De Vecchis, in un articolo del dicembre 2005 relativo alla collocazione della Geografia nell’insegnamento secondo le intenzioni della riforma Moratti invita a considerare l’importanza che la disciplina riveste nella ricerca delle spiegazioni e delle motivazioni dei fatti geo-antropici, nell’individuazione e nella comprensione dei rapporti di interdipendenza, nella valutazione critica dell’organizzazione del territorio e degli interventi che lo modificano e anche che: la Geografia si trova compresa nell’Educazione alla convivenza civile, in un contesto molto ampio dove può esprimere una delle sue potenzialità più interessanti, quella relativa all’interdisciplinarità, che le deriva dalla caratteristica di leggere e interpretare processi, segni e fenomeni conseguenti all’umanizzazione del nostro pianeta, e di sviluppare così un discorso costituito da una molteplicità di contenuti inerenti alla sfera dell’uomo e alla sfera della natura. In questo senso l’insegnamento della Geografia può costituire un momento didatticamente propulsivo, nel quale gli incontri con altre discipline possono agevolare il conseguimento di obiettivi formativi perché, alla presenza delle sfide della globalizzazione e dei grandi problemi mondiali alcune specificità evidenziano le potenzialità interdisciplinari della Geografia. Per il Liceo classico: riqualificazione del territorio attraverso i parchi letterari. Per il Liceo linguistico: confini linguistici e confini geografici; riflessi socio-linguistici dei movimenti migratori in Italia e in Europa; isole linguistiche e minoranze. – Posto che probabilmente quelle potenzialità della materia indubbie – cui si fa accenno – non credo siano state riconosciute e valorizzate in questi anni (come anche nelle precedenti riforme della scuola), sembra di capire che nelle intenzioni della riforma Gelmini, ben lungi dal valorizzare quelle possibilità – si tenda ad ulteriormente marginalizzare l’insegnamento della geografia.
È corretta questa mia affermazione?
R: La geografia, come idea consapevole, non esiste nella mente della classe dirigente italiana. Essa proviene quasi totalmente da una formazione classica (i licei per intenderci) dove la Storia (S maiuscola, ovviamente) e l’idealismo la fanno da padroni. Quando e se la geografia è stata sfiorata, la si è subita come disciplina marginale, ancella di Italiano e Storia, residuale se avanzava tempo, dai contenuti quasi sempre mnemonici e enciclopedici. Negli istituti tecnici e negli istituti professionali a indirizzo economico e/o turistico è invece presente nel triennio finale (solo terza e quarta classe nei professionali a indirizzo aziendale) con docente specialistico. Va ricordato che anche questa collocazione è il risultato di una continua erosione di classi e argomenti. Negli anni ottanta la geografia specialistica si insegnava a partire dalla seconda classe, ma la progressiva attribuzione indifferenziata delle ore ai docenti specializzati in geografia come pure ai docenti di biologia, chimica, scienze naturali, ha portato alla definitiva assegnazione a questi ultimi delle ore al biennio con conseguente confino nel triennio (con riduzione di classi e posti di lavoro ovviamente) degli specialisti. Oggi la bozza gelminiana cancella le ore specialistiche nel triennio e riporta al solo biennio e solo in pochi indirizzi la geografia. Non è ancora specificato, ma si intuisce l’assegnazione al docente di lettere (e storia). Il biennio sostanzialmente equiparato alla scuola media inferiore. Per tutti gli anni ottanta e novanta, però, la proposta riformista, quella sì vera e meditata, puntava alla costituzione di un’area geo-storico-sociale in cui geografia, storia e scienze sociali avevano il compito di affrontare le dinamiche socio-economiche contemporanee tramite il fondamentale confronto con i diversi assetti territoriali, culturali e ambientali diffusi nel mondo. E ci si era quasi riusciti, anche se molta parte della classe dirigente della sinistra esce dagli stessi licei della destra con una aggiuntiva venerazione acritica per la STORIA (tutta maiuscola!!) mallevatrice di riscatto sociale. Di tutto ciò è rimasto solo l’anticipo dell’insegnamento al biennio del diritto (che l’avvocato Gelmini gradisce e conferma in quasi tutti gli indirizzi) e oggi questa vaga disciplina indicata come Costituzione e cittadinanza. Ci si continua a dimenticare (volutamente e anche per limitatezza intellettuale) che cittadinanza e Costituzione si imparano per pratica quotidiana; con i comportamenti di docenti, istituzioni, personale ATA, genitori, società, televisione, informazione, relazioni sociali, ecc. ecc.. Con trasparenza e rispetto, invece di privilegi e potere. Ma l’attuale governo e la massa dei suoi sostenitori, come pure qualche autorevole, ma datato intellettuale progressista, ha ancora in mente l’illusione che il sapere giusto esista e che si insegna dall’alto; che basti enunciare o affermare un principio perché questo venga applicato e condiviso. Che basti riportare un po’ d’ordine e pulizia (vedi grembiulino) e ritornare a fare lezione dalla cattedra a silenziosi e ordinati ascoltatori; magari con la voce sola e clamans della maestra unica, dizione negletta, ma più aderente alla realtà dei fatti rispetto al maestro, specie quasi scomparsa fisicamente dalle scuole elementari da molti anni. Se l’idea riformista della creazione di un’area geo-storico-sociale avesse avuto gambe, avremmo finalmente visto la geografia nella sua collocazione più adatta; e la geografia non sarebbe stata la materia negletta e non valorizzata quale è effettivamente stata nel tempo (e ci si ricorda bene la pedanteria dell’insegnamento di nomi di fiumi, monti e laghi e numero di abitanti, e il conseguente penoso apprendimento (?) mnemonico della materia) materia che invece oggi potrebbe rivelare appieno la sua importanza, suscitare interessi plurimi e pluridisciplinari, vivi, nel pieno del fenomeno della globalizzazione, in cui accadimenti sociali, politici economici non riguardano più (se mai è stato così prima) un solo territorio ma sono legati ad altri luoghi e fatti, e si influenzano. E allora: se dapprima sembra paradossale, incredibile che proprio in questo momento storico si sacrifichi un qualificato insegnamento di una materia così potenzialmente suscitatrice di stimoli di interesse e riflessione, in un secondo momento si può sospettare che questo tentativo di depotenziamento della geografia nasconda il desiderio di non favorire affatto la comprensione vera del mondo, nella sua grande- mai come oggi – complessità. Certo: perché se ci si limita all’insegnamento mnemonico di sempre, se gli unici numeri che si comunicano sono le lunghezze dei fiumi e l’altezza dei monti, o si comunica che un certo stato ha un regime di democrazia parlamentare e quell’altro ha un regime dittatoriale e quell’altro ancora è una federazione di stati, conosciuta così la geografia molto innocua. Quanto spenta.
Ti domando: Quali spazi ci sono al momento per far conoscere al mondo che gravita intorno alla scuola, ai genitori, agli studenti, alla opinione pubblica la portata, l’importanza della scelta che il governo di Gelmini intende fare: di rendere di fatto marginale l’insegnamento della geografia? [Se posso esprimere un modestissimo parere: io credo che un tentativo di spiegare come la geografia sia importantissima al giorno d’oggi, non fosse altro che perché le persone mai come ora si spostano e giustamente debbono essere informate sul luogo dove si dirigono, di spiegare come questa materia sia fondamentale nella comprensione del mondo oggi, perché materia viva che un tentativo forte di farlo attraverso i media, attraverso incontri, potrebbe avere un ascolto attento.
R: Per paradosso, a guardarsi in giro, le edicole sono piene di riviste di viaggi e spesso ci sono inserti o approfondimenti nei quotidiani che parlano di altri luoghi, di economie e società comparate. Anche in TV qualche trasmissione turistico-culturale o genericamente geografica ha spazio e seguito. Ma non vengono fatte da geografi e soprattutto non hanno un approccio geografico. Sono tutte cose meritorie, ma si limitano ad uno sguardo meravigliato sul mondo e sulle sue curiosità. Ancora una volta una vecchia geografia del pittoresco e dell’esotico. Mi preme ribadire che non demonizzo la memorizzazione di nomi (fiumi, laghi, luoghi, ecc.), anzi, non se ne può fare a meno; ma l’acquisizione di quelle informazioni è la conseguenza, non l’inizio, di un processo di apprendimento che prosegue lungo tutta la vita e che si fonda sulla osservazione, sul porsi le domande, sulla comparazione ed infine sulla sintesi. Che è sempre soggettiva e personale, ma che trova la via del confronto aperto nella quantità delle informazioni acquisite e inserite in un quadro interpretativo. Drammaticamente, dopo più di trenta anni di insegnamento, vedo che le nuovissime generazioni non sono più in grado di fare operazioni mentali consequenziali e di provare a identificare percorsi autonomi sulla base delle informazioni date in partenza e/o che si possono accrescere con un percorso di ricerca. Si fermano senza capire oppure perché sfiduciati e insicuri quando si rendono conto delle difficoltà. Proporre oggi la geografia (a scuola) come approccio culturale e mentale alla conoscenza vede spesso gli studenti soggetti primi del rifiuto della complessità. Tutto può essere spiegato semplicemente (per nodi concettuali e fattori dinamici), ma partendo dalla consapevolezza che nello spazio, nei territori concreti, i fattori fisici e umani sono in relazione complessa e non statica. E questo fa paura a giovani sempre più fragili psicologicamente. La lettura dei famosi scarsi risultati dei nostri studenti nelle prove INVALSI in matematica (e sarebbe così anche in storia) deriva molto di più dai trend sociali italiani (e dai programmi televisivi) che dalle responsabilità della scuola. Che ha la sua colpa nel continuare ad essere il notaio di una società sempre classista all’ombra di una ipocrita patina di uguaglianza di punti di partenza e/o di opportunità. La geografia sarebbe molto utile, ma non può assolutamente bastare. La scuola va sì riformata, ma rompendo la rigidità dei gruppi classe, offrendo percorsi di apprendimento di durata contenuta con verifiche puntuali (e certificabili), mettendo a disposizione strumenti e materiali per le ricerche individuali e di gruppo (e non solo quella specie di modernizzazione di lavagna e gesso bianco rappresentata dalla lavagna elettronica). Datemi l’aula di geografia, con atlanti, riviste, carte, rilievi, qualche computer, materiale audiovisivo e la possibilità di proiettare/mostrare e poi si reclutino docenti specializzati in geografia con frequenza dei moduli (38 ore sul modello finlandese) facoltativa: sono sicuro che ci sarebbero le classi piene, studenti motivati, giovani che imparano con il piacere di essere protagonisti della propria vita!
www.fabrizio-eva.info segnalo il più recente tra i commenti di geopolitica del professor Eva https://www.youtube.com/watch?v=KIAfhyKIcDc&t=3s
Germana Pisa
02 Dicembre 2008