Biografici e autobiografici, Ritratti

La donna dipinta.


Nella sala d’aspetto dell’ambulatorio di via Jommelli entra una donna che mi ricorda la felliniana Saraghina di Amarcord; ma molto meno aggressiva; anzi, per niente aggressiva: il viso dolce, quanto dipinto in modo audace: ciglia sopracciglia colore alle guance capelli neri folti arruffati corpo procace e insieme non volgare; o di volgarità trattenuta; e poi particolari come la voce squillante – quanto timida e infantile; e infine un sorriso che chiede e insieme si scusa di essere o di chiedere. E’ stata appena accompagnata qua da due accompagnatori, che se ne sono andati subito e che mi hanno fatto pensare a gente che la hanno letteralmente lì  depositata. Prima momentaneamente uscita e poi rientrata, la donna bambina procace si è seduta stando lì talmente silenziosa che non avevo avvertito la sua presenza,  fino a quando – passando – un infermiere – mi sembra Andrea – le ha detto di “non muoversi di lì” fino a quando non la avessero chiamata.
Ora sono quasi le ore diciannove e poco fa la donna bambina e stata chiamata ad entrare (T. e ancora dentro per la medicazione). Perché la procace donna bambina è stata accompagnata da due persone – una per parte al suo fianco – e poi perché una persona del luogo le ha detto con piglio di autorità di “non muoversi di lì”? E’ forse immaginabile che un infermiere dia un ordine simile ad un adulto in attesa nella sala d’aspetto del medico? E’ sotto stretta tutela la procace donna bambina? Una tutela carceraria di qualsiasi tipo, per esempio di tipo psichiatrico; o viene da un carcere vero e proprio? Non sa forse badare a se stessa e sa solo obbedire agli ordini che le vengono dati ? Perché, vedendo la donna bambina mi è venuta in mente la Saraghina di felliniana memoria?
Non era innocente lo sguardo della Saraghina mentre mostrava il petto al giovinetto fuggito dal collegio mentre la mia donna bambina è assolutamente composta e non ci sono bambini intorno che possano chiederle alcunché. Non ho mai visto un atteggiamento più composto di quello che vedo in lei. E tuttavia mi  fanno sembrare simili le due figure  una innocenza di esibire la loro procacità , l’essere in balia altrui e tuttavia non cessare di sorridere; poi anche il trucco violento unito a sguardo perduto, inconsapevole ed estraneo a quella violenza . Saraghina non si curava degli sberleffi deigli adolescenti venuti a provocarla; la mia donna di ogginon si cura degli sguardi che si posano su dilei indagatori ed ironici, non fosse per quellosguardoindifeso, per quella disciplina dell’atteggiamento che trattiene la violenza della ironia e del sospetto. La chiamerò Chiara, non la dimenicherò. Milano 2016

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