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Vita di don di Ettore Bonaldi. dall’Oriente a Milano – La malattia, la guarigione.

Sono particolarmente lieta di avere qui, attraverso il racconto contenuto nell’articolo della signora Anna Zenoni, la occasione di ricordare la figura di un sacerdote che io pure ho conosciuto e stimato e la cui storia straordinaria conoscevo in parte. Ringrazio la giornalista signora Zenoni di avermi dato la possibilità di integrare la mia conoscenza dello straordinario uomo.

dall’articolo di ANNA ZENONI https://www.germanapisa.it/2020/09/26/testimonianze-dai-territori-della-fede/

“Siamo nel dicembre del 1923, in valle di Scalve, pochi giorni prima di Natale. Ettore Bonaldi è un ragazzino di otto anni di Schilpario, che oggi, con alcuni fratelli più grandi, ha avuto finalmente il permesso dai genitori di recarsi a piedi a un paese poco lontano, Azzone, per guardare dall’alto quello che già tutti chiamano “il disastro del Gleno”: un lungo solco di distruzione e di morte con cui la nuova diga, là in alto, squarciandosi il 1°dicembre all’improvviso, ha segnato per sempre la valle, mentre la furia dell’enorme massa d’acqua travolgeva case, uomini, animali. Vita. https://www.youtube.com/watch?v=2KLKLZHhAgo Il fiume ora scorre tranquillo, giù al Dezzo, e ha trovato una nuova strada in mezzo a macerie, massi, tronchi, fango…I ragazzi guardano ammutoliti da un alto ciglio erboso, coperto di neve.”Perfino la Madonnina non c’è più!”, sussurra con voce incrinata il più grande, ricordando l’amatissimo santuario della valle, cuore pulsante del culto a Maria; e i ragazzi non sanno ancora che uno dei rari oggetti scampati alla distruzione sarà proprio una statua di Lei, Nostra Signora del Sacro Cuore, sepolta sotto quintali di sassi e fango. “Madonnina, io ti vorrò sempre bene lo stesso, e tu aiutami nella vita”, sussurra il cuore del piccolo Ettore. Anche sotto il fango, la Madonna sicuramente lo ascolta, quel giorno; e otto anni dopo troviamo Ettore ad Ivrea, nel seminario dei Padri Salesiani, devoti a Maria Ausiliatrice.

Nel 1935 Ettore, seminarista ventenne, chiede e ottiene di completare e perfezionare gli studi in terra di missione. E’ destinato alla Terra Santa, https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Bethlehem_1898.jpg dove si divide fra Gerusalemme e Betlemme, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=1650678 con puntate varie nel paese sulle orme di Gesù e Maria, ma anche con una lunga sosta, dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale, in un campo di concentramento inglese, dove gli stenti lo segneranno nella salute per tutta la vita. Ma non intaccheranno la sua mente né il suo carattere mite e tenace. Liberato, compie con successo studi di teologia, impara e parla cinque lingue e finalmente, il 16 aprile 1944, è ordinato sacerdote a Betlemme dal Patriarca latino di Gerusalemme.

La Palestina ormai è diventata la sua terra e lì, a Betlemme e altrove, da stimato e coltissimo docente insegna ai giovani in arabo, diviene direttore dell’Istituto Salesiano di Betlemme e si distingue per innovazioni in campo socio-educativo, che gli procurano vari riconoscimenti in Palestina e in Giordania. Dei suoi anni a Betlemme  mi sembra non secondario però ricordare, fra tanti, anche due fatti, di portata diversa, che attraversano la sua vita. Un giorno gli capita fra le mani un foglietto, scritto a mano da un sacerdote francese, che parla delle presunte apparizioni della Madonna alle Ghiaie di Bonate, nella Bergamasca, nel 1944 e della piccola veggente. Legge con attenzione ed emozione e non cestina con supponenza il foglio, anche se attende con umiltà il giudizio della Chiesa. Il suo amore per Maria è sempre intenso e lo guida; e Lei, la Madre “che aiuta” (Ausiliatrice, si sa, vuol dire proprio questo), più volte mostrerà di gradire. E ricambia. Come quella volta in cui don Ettore passa la notte a pregarla, in ginocchio e con l’angoscia nel cuore, per quel grosso debito, 1200 sterline, che dovrà pagare il giorno dopo entro le dodici a un creditore, per la farina che ha acquistato da lui: e la cassa è quasi vuota. La farina è servita a procurare pane all’affamata popolazione di Betlemme, grazie al capace forno che don Ettore ha fatto costruire. La mattina successiva gli viene recapitata una busta da parte del Patriarca di Gerusalemme, che l’ha ricevuta da un anonimo benefattore e che, senza aprirla, il presule, ignaro del problema ma sollecito sempre verso i suoi preti impegnati con gli ultimi, ha inviato a lui. Dentro ci sono 1250 sterline, saldo e anticipo sulla prossima fornitura di farina|! Un’altra volta arriva improvvisamente la pioggia durante una terribile siccità, dopo che don Ettore ha …messo sotto tutti, dico tutti, i suoi studenti a sgranare il rosario, perché i “grani” del frumento in maturazione non secchino”.

La salute però è sempre fragile e nel 1953 don Ettore è costretto a voltar pagina: deve tornare in Italia.

Qui le cure e la buona aria della sua valle tamponano qualche falla, ed egli ne approfitta per laurearsi in teologia e, previa abilitazione in Lettere e dopo il superamento di un infarto, diventa docente, molto apprezzato, presso l’Istituto Magistrale delle Figlie di Maria Ausiliatrice a Milano.

Ah, caro don Ettore, finalmente una vita più tranquilla! Macchè, le prove continuano alla grande…Nell’aprile del 1966 egli viene ricoverato d’urgenza al Policlinico di Milano, Padiglione Sacco, per “sindrome emorragica irrefrenabile”, che dopo gli esami del caso viene riconosciuta come sintomo certo di una leucemia mieloide acuta. Che si complica con insorgenza di diabete, cardiopatia ischemica, febbre altissima intermittente, dolori lancinanti al capo. Per una decina di volte, don Ettore sperimenta la distanza ravvicinata con la morte.

In reparto c’è una giovane infermiera caposala, che tutti conoscono come Anna Maria. Per questo sacerdote ella ha un’attenzione particolare: ogni sera, finito il suo turno, invece di tornare subito a casa ella entra nella sua camera, lo conforta e poi, in ginocchio, recita l’intero rosario completo delle sue tre parti, 150 avemarie come grani di una messe feconda. A lui chiede di seguirla mentalmente, per non affaticarsi. Una sera si toglie dal collo la catenina con una medaglia di Maria, Nostra Signora della Famiglia che si venera alle Ghiaie e la mette al collo di don Ettore, e a fine maggio ottiene perfino il permesso di portarlo in auto proprio alle Ghiaie.  La preghiera è intensa, ma i frutti rimangono ancora nascosti: nessun miglioramento. Anzi, a inizio luglio la situazione precipita e una sera i medici scuotono la testa: don Ettore non supererà la notte, le sue cellule sono tutte cancerogene, le sue condizioni gravissime. Quella notte la dottoressa che solitamente lo cura è di turno al pronto soccorso; ma quando la mattina, a lavoro concluso, sale in reparto per avere notizie sul previsto decesso, la sorpresa è grande. “Entri nella camera, dottoressa, vedrà di persona”. Don Ettore è seduto sul letto, sorridente; dice di sentirsi benissimo e fra poco mangerà. Agli esami immediati e poi ripetuti ogni minima traccia di leucemia è scomparsa; ai medici allibiti non resta che dichiarare il fatto scientificamente inspiegabile. Si sa soltanto che Anna Maria è stata tutta la notte al suo capezzale, in ginocchio in preghiera o in piedi, a tenergli la mano; e a questo punto il razionalismo granitico di qualche medico scientista ha qualche sussulto. C’è solo una persona che non si meraviglia, una suora. E’ l’unica in quell’ambiente a conoscere la realtà, celata a tutti. Dietro il nome fittizio di Anna Maria si nasconde  Adelaide Roncalli, la veggente di Ghiaie, che vive nel silenzio e nella riservatezza, e che continuerà a farlo fino alla morte, avvenuta nel 2014. Don Ettore vivrà ancora trentasei anni, senza più alcun segno di leucemia. Per riconoscenza e affetto inviterà qualche estate Adelaide a passare alcuni giorni a Schilpario: e anche lì nessuno individuerà la sua vera identità.

Ho avuto la fortuna di conoscere don Ettore, anche se una sola volta, in valle di Scalve; mi è bastato per averne riportato l’impressione di un uomo eccezionale e di un santo sacerdote.

Voi che credete alle apparizioni di Maria a Ghiaie, e voi che non ci credete, sappiate tutti una cosa: su esse sarà la Chiesa a dire l’ultima parola, e noi l’accoglieremo. Quello però che già fin d’ora è certo è il valore potente ed efficace della preghiera, fatta con cuore umile e fiducioso: se non vedremo miracoli, percepiremo però la presenza di Cristo e di sua Madre accanto a noi.

Ricordiamolo tutti nell’imminente settimana dedicata dalla nostra comunità alla Vergine Addolorata: pregarla con fede intensa per noi, per il nostro paese, per il mondo, sarà il più bel regalo reciproco in questi tempi di prova.

continua tratto da: Il racconto d’autunno, di Anna Zenoni, Schilpario, settembre 2020

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