Si spiega la divaricazione tra chi sostiene la completa autonomia decisionale sulla propria vita e sulla propria morte e chi sostiene un non possumus. Nel primo caso ognuno di noi dispone della propria vita e della scelta di interromperla, senza sentirsi legato ad alcuna concezione religiosa; nel secondo il vincolo con la propria fede religiosa esiste e questa fede insegna che la sofferenza ha un valore e non si può interrompere la vita – dono di Dio – per porre fine alla sofferenza. Al credente nel dio della religione monoteista – non indago su altre concezioni religiose – si insegna che si può offrire la propria sofferenza per un valore collettivo; che può essere la pace nel mondo, la vita di altri. Al credente nel dio cristiano si insegna a vivere, la sofferenza, la prova, idealmente unite alla lontana offerta volontaria della propria vita attraverso il martirio del Cristo, per la redenzione del mondo; in tal modo partecipando a quel processo di redenzione. C’è stato un momento in cui ho pensato che questo fatto – di essere con la propria vita redentori oltre che redenti, di credere che un proprio stato si possa offrire per la salvezza di altri, per lenire il dolore di altri, perchè avvenga del dolore la accettazione – sia una bella fiaba. Un giorno pensai letteralmente ciò: che è una“ bella favola” o anche anche ” troppo bella per essere vera”. Rimane tuttavia il fatto che non ho mai smesso di crederci. ***Questo del che fare, se sia lecito fare, se io posso scegliere il tempo e il modo di morire è un argomento che a differenza di un altro – quello del porre termine ad una vita nascente – non riesce a scavare un solco troppo profondo e decisivo, troppo distinguibile con certezza tra due concezioni di vita. Non mi sembra l’argomento del fine vita così divisivo come quello dell’inizio della vita e sulla possibilità, sulla liceità di fare la scelta di morire si avvicinano – a me sembra – le posizioni dell’ateo e del credente. La frattura è profonda tra chi crede e chi non crede se si parla di vita agli albori e della possibilità di non portarla a compimento. L’aborto crea una frattura profondissima tra chi si dice laico e chi religioso anche se a me sembra che non sia solo il fatto di aderire o non a una fede il vero discrimine. Credo che ci siano atei che possono non considerare lecito l’aborto. Leposizioni si sono sfumate progressivamente nel tempo. *** In generale mi sembra che si più facile che un non ateo si avvicini alle posizioni laiche che non il contrario. Non so se questo voglia dire qualcosa, lo devo analizzare di più. Desidero riflettere e documentarmi di più su questo fatto che trovo molto interessante. Desidero riflettere anche sulla possibilità che un contributo a orientare la visione personale sul fine vita sia stato dato da recenti sentenze ripetute di assoluzione nei confronti di un personaggo politico radicale che era stato denunciato per istigazione al suicidio avendo accompagnato a porre fine alla propria vita in modo assistito più di una persona.